[ di Marco Zavattarelli ]
C’è chi
considera il migliore dei mondi il suo,
la sua terra, e se per disgrazia gli tocca di doversene allontanare lo fa in
apnea e in pena, pronto a rientrare al più presto.
C’è chi
invece non riesce a stare al suo
mondo e lo va a cercare senza sosta sulle spiagge di un oceano, sulle vette di
una montagna, in paesucoli o nei formicai di dieci milioni di abitanti,
dappertutto purché altrove, e mai lo trova.
C’è
anche chi, capace di metterne su una ovunque, sta bene a casa propria, poco
importa dove sia, oggi qui, domani là, e da qui o da là cerca di capire la
meccanica delle passioni che muovono il mondo o delle inquietudini che lo
agitano costruendosene uno in miniatura.
Capire
il mondo attraverso il governo della
casa.
Mentre
sparecchia la tavola dopo un pranzo festivo con la famiglia, quando riassetta
le stoviglie, stende i panni o racconta una storia ai suoi bambini, Sandra
annota appena può un’immagine che l’ha attraversata ed è riuscita a catturare.
Immaginiamola
al lavoro sul suo tavolo – magari non distante dalla cucina – alla ricerca del
segno giusto, della matita più efficace, del supporto più adatto, a volte
arrangiandosi con quel che c’è, mentre disegna tenendo accanto al gomito la
monografia di un primitivo fiammingo aperta come un libro di ricette.
Ogni elemento
è al suo posto o vuole o deve ritornarci. Come in una cucina che si rispetti tutto
è funzionale e oggetto d’affezione. Facciamoci pure spiegare, ospiti curiosi, quello
che in casa d’altri non siamo tenuti a sapere. E teniamo per noi questa domanda
nella testa: l’artista deve emanciparsi dalle angustie quotidiane, dai pensieri
e dai travagli domestici o da questi trarre il succo vitale?
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